In questo primo articolo voglio toccare un argomento molto delicato, che muove le coscienze di tutti noi ma che ci lascia anche profondamente dubbiosi su ciò che sia giusto o sbagliato.
Il mondo è pieno di pregiudizi, figuriamoci quando si parla di temi cosi delicati come la questione del proprio libero arbitrio nella scelta di come morire.
Per prima cosa va spiegato che Suicidio Assistito ed Eutanasia non sono la stessa cosa, non sono sinonimi.
La differenza sta nel ruolo determinante che ha il personale sanitario nell'Eutanasia...Si sospendono le cure o si spengono i macchinari o ancora, si somministrano farmaci per porre fine alle condizioni della persona.
Per il Suicidio Assistito invece, il medico si limita a preparare il farmaco che la persona assume in piena autonomia per porre fine alla propria condizione.
Anche in Italia si iniziano a fare dei passi in avanti su questo tema. La corte costituzionale ha stabilito che, a determinate condizioni, l'assistenza al suicidio non è equiparabile all'istigazione al suicidio prevedendo quindi la non punibilità.
Dopo i casi di disobbedienza civile di Marco Cappato che ha accompagnato in Svizzera diverse persone per porre fine alla propria dolorosa esistenza, è di questi giorni la notizia che un altro uomo ha intrapreso questa strada.
E’ Massimiliano, 44 anni, toscano, malato di sclerosi multipla, il cui decesso in una struttura specializzata elvetica è avvenuto l’8 dicembre, annunciato dal sito dell’organismo radicale.
Ad accompagnare il paziente nel luogo scelto per darsi la morte con l’aiuto del personale addetto sono state Felicetta Maltese, 71 anni, attivista della campagna radicale per l’eutanasia legale, e la giornalista e saggista Chiara Lalli, da sempre impegnata a sostegno delle iniziative per l’autodeterminazione. Entrambe sono intenzionate ad autodenunciarsi a Firenze, dove hanno dato appuntamento ai media venerdì 9, con l’intento di dare il massimo risalto a quella che l’Associazione Coscioni definisce “disobbedienza civile”.
In realtà si tratta della violazione di una legge, quella penale che tuttora prevede dai 5 ai 12 anni di reclusione per chi aiuta un’altra persona a suicidarsi. Come noto, rispetto all’applicazione dell’articolo 580 del Codice penale (aiuto al suicidio) la Corte costituzionale aveva introdotto con la sentenza 242 del 2019 un’eccezione circoscritta ai casi di particolare gravità nei quali il paziente, capace di intendere e volere, soffre di una patologia irreversibile che gli procura una sofferenza ritenuta insopportabile: tutte circostanze che ricorrono nel caso di Massimiliano, che tuttavia non dipendeva da supporti vitali, criterio chiave introdotto dalla legge 219 del 2017 sulle Disposizioni anticipate di trattamento e ripreso dalla Consulta come condizione per poter ottenere la sospensione delle terapie anche se ciò comporta la morte, senza conseguenze penali per chi collabora.
Il nuovo caso di suicidio assistito in Svizzera pone dunque la giustizia davanti a una scelta: applicare la legge, non potendo coprire quello che resta un reato con la sentenza della Corte (che peraltro rimandava a una legge ancora non elaborata dal Parlamento, e che dunque non era da ritenere sostitutiva di un provvedimento normativo), oppure lasciare che attivisti pro-eutanasia continuino ad aiutare persone sofferenti nel loro eventuale intento suicidario accompagnandole oltre frontiera anche allo scopo di produrre il massimo effetto mediatico per conseguire la legalizzazione della morte assistita e dell'eutanasia come diritto.
Una questione giuridica ed etica delicatissima, nella quale va dunque considerata la ricerca del “caso” clinico e giudiziario da sottoporre a un’opinione pubblica cui manca un aspetto decisivo della questione: la voce di tutti i pazienti che soffrono per malattie degenerative, come la sclerosi multipla, e che chiedono disperatamente non di morire ma di poter vivere, con tutte le cure di cui hanno bisogno. Una voce che in questi giorni, nei quali il leader dell'Associazione Coscioni Marco Cappato è stato anche premiato dal Comune di Milano, solo Avvenire è sembrato interessato a raccogliere attraverso le realtà che rappresentano i malati di sclerosi multipla.
Drammatica l’ultima testimonianza di Massimiliano in un video diffuso dal sito dell’Associazione Coscioni: “Sono quasi completamente paralizzato e faccio fatica anche a parlare. Da un paio di anni siccome non ce la faccio più, questo corpo è guasto, non ce la fa più così ho iniziato a documentarmi su internet su metodi di suicidio indolore. E finalmente ho raggiunto il mio sogno. Peccato che non l'ho raggiunto in Italia, ma mi tocca andare all'estero. E questa è una cosa un po' bruttina. Perché non posso farlo qui in Italia? A casa mia, anche in un ospedale, con i parenti, gli amici, vicino che mi supportano. No, devo andarmene in Svizzera. Non mi sembra una cosa logica questa. E quindi sono costretto ad andarmene via, per andarmene via”.
Quando una persona versa in uno stato di malattia irreversibile che produce gravi sofferenze fisiche o psicologiche, ed è tenuto in vita grazie a presidi medici in assenza dei quali andrebbe incontro, sia pure in modo lento e doloroso per sè e per i suoi cari, alla fine della propria esistenza, questa persona dovrebbe poter essere libera di porre fine alla propria condizione di vita.
La libertà è un valore di difficile identificazione, perchè la si riconosce solamente quando non c'è.
Fino a quando siamo indipendenti nelle nostre volontà, siamo liberi. Liberi di uscire, di stare seduti sul divano a guardare un film, liberi di fare le cose più semplici...
Immaginiamo ora di perdere la libertà del nostro corpo, di restare vittima di un processo per il quale la mente è viva, ma il resto non reagisce più agli stimoli. Costretti in un letto inermi, tenuti in vita senza prospettive di miglioramento.
Ognuno in questo caso dovrebbe essere libero di decidere se la qualità di vita in condizioni cosi drammatiche gli si addice o no. Ognuno, cosi come è libero di poter scegliere come vivere, dovrebbe poter scegliere come morire.
Le convinzioni religiose sospingono molto i pregiudizi sul tema, ma andrebbero messe da parte...Si tratta solo di restituire la "LIBERTA'" alle persone.